Quello che vi suggerisco è un film che avevo visto l’inverno scorso, avrei voluto scrivere questo articolo da tempo, ma, come sapete, riesco a farlo solo quando non mi travolgono le priorità. Eccomi qui.
Sarò breve perché questo capolavoro è di una densità di senso e significato tale da non farsi intrappolare da discorsi e descrizioni. “Departures” è uno di quei film che arriva nell’anima e ti accompagna, dopo che hai spento la tv, per diversi giorni. Uno di quei film che si svela quando ripercorri a posteriori la trama e le immagini. È figlio della sapienza orientale, caratterizzato da momenti di silenzio e rituali dipinti da fotografie dettagliate. È audace perché racconta le tante sfumature dell’amore grazie al grande tema della morte. Delinea i tratti dell’amore genitoriale riscoperto nel dramma del distacco e del faticoso percorso coniugale che può ritrovare il suo senso proprio affrontando insieme la morte. Delicato tributo ai rituali di ogni religione, riesce a catturare i sentimenti più profondi, sfacciati e umani che il dolore porta alla luce. Insegnando che le grandi prove di fatica e di dolore possono far nascere nuovamente le relazioni interrotte dalla vergogna, un lavoro che sembrava in stallo desolante, la vita.
Quante volte nel mio lavoro mi capita di accompagnare le persone ad accogliere la fragile speranza che dietro al buio possa esserci una nuova luce, dopo un rischio una possibilità, oltre la fatica il senso che ne è valsa la pena. Quante volte anche io ho dovuto fare - e continuo a fare - questo lavoro con me stessa, grazie alla tenerezza e all’aiuto che mi vengono offerti e che cerco. “Departures” mi ha abbracciata in questo percorso umano incessante ed è rimasto con me con la sua schiettezza e grande delicatezza.
Guardatelo e tenetevelo negli occhi e nel cuore, vedete cosa vi smuove. Guardatelo con una persona importante con cui condividete la quotidianità.
Poi magari ne parliamo insieme, oppure no, custoditelo. Vedete voi, io sono qui.
Buona visione!
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