In uno dei colloqui con i dipendenti di Adecco, mi viene detto: “prima di incontrarti mi sono letta tutti i tuoi articoli del sito, devi continuare a scrivere perché sono bellissimi!” È stato un regalo per me, allora obbedisco e continuo la sezione “Vi consiglio” suggerendovi una canzone.
Nel 2001 è uscito il film di Özpetek “le fate ignoranti”, io ero una bambina e l’ho visto qualche anno più tardi. Quando, quest’anno, è uscita la serie tv dello stesso autore ero incuriosita. Mio marito, vero cinefilo per deformazione professionale, mi ha abbandonata alla visione solitaria per velato disprezzo di certo cinema italiano. Io invece sono rimasta affascinata dalla fotografia e dalla color correction della post produzione, morbida, moderna e con qualcosa di fiabesco. La narrazione che ho apprezzato di più, tra le tante che si intrecciano, è stata quella che ha riguardato il tema dell’elaborazione del lutto. Non è sicuramente l’aspetto che interessa maggiormente al regista, ma offre qualche spunto molto prezioso. Come quello che tante volte io racconto citando il sentimento del “mono-no-aware”: la consapevolezza, tipica della cultura orientale, dell’inevitabilità del cambiamento. Qualsiasi cambiamento, anche quello portato dall’archetipo 13, la morte, porta con sé qualcosa di buono. Quando si rompe una nostra “dimensione”, così come la conoscevamo, si apre una fessura che rappresenta una nuova possibilità di movimento, di azione, di vita.
L’altro aspetto che mi ha colpito è stata la canzone di Mina, sigla e colonna sonora. Quando l’ho fatta partire a tutto volume in salotto mio marito, che non sapeva da dove venisse, ha commentato: “ah, che colpo al cuore, che musica nostalgica che arriva dritta come un pugnale”. Lui non è un uomo sdolcinato (anche se un po’ romantico sì) ma, sempre per deformazione professionale e finezza d’animo, di musica se ne intende. Si stava riferendo alla melodia. Io invece sono rimasta colpita anche dal testo perché questo pezzo racconta quello che tante volte ho ascoltato nelle mediazioni familiari di coppia: “Ora lo so cosa cerchi di più, ma non sono io. Vedi cos’è quel difetto di te che ci limita, forse un’altra me, ti accontenterà […]”
In mediazione uno dei focus del lavoro è quello sulla percezione dei limiti dell’altro, perché spesso le differenze all’inizio fanno, quasi sempre, scattare l’innamoramento e, poi, dopo la quotidianità e le fatiche, possono diventare il motivo della crisi e del conflitto. Rielaborando anche questo circolo vizioso, la coppia può recuperare la stima profonda, base dell’amore di una coppia riconciliata, ma anche il fondamento della genitorialità condivisa e consapevole di una coppia separata.
Vi lascio l’intero testo della canzone suggerendovi di assaporarlo insieme alla melodia che lo accompagna, due volte, una per il testo, una per la base. Lenta, struggente, interessante, consolatoria, nostalgica, intima.
Ora lo so cosa cerchi di più
ma non sono io,
vedi cos’è quel difetto di te che ci limita
forse un’altra me, ti accontenterà
dimmelo tu cosa manca di più, posso farcela
forse non c’è più passione perché sei soltanto mio
prima c’era lei, ora solo noi.
E così, io ti guardo buttare l’amore
resto qui e finisco per farmi del male
passerà, serviranno altre mille persone
e va bene così.
Anche se poi tutto quello che vuoi potrei dartelo
affari miei se decido di no, sono libera
quello che farei, non te lo dirò
mai.
Stupido sai chi si mette nei guai per un brivido
ti tradirei, non ti credere mai, non giurarmelo
forse ti amerei, se non fossi io.
E così, io ti guardo buttare l’amore
resto qui e finisco per farmi del male
passerà, serviranno altre mille persone
e va bene così.
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