Yeva* è una bambina esile, con due lunghe trecce bionde e due grandi occhi azzurri. Ha voglia di muoversi senza sosta ma il suo sguardo è immerso nella tristezza: gli occhi sono velati dalla nostalgia e la bocca ha una piega piangente.
Sapevo che avrei incontrato dei bambini ucraini al “Gioco d’estate”, ma non immaginavo che mi avrebbero colpita così tanto. Il comune mi aveva chiesto di preparare un laboratorio sull’amicizia perché il tema ultimamente sembra materia difficile per i bambini che faticano a stare bene insieme a coloro che non sono gli “amichetti del cuore”.
Quando facevo il primo anno di università ero andata alla mia prima mostra di Steve McCurry ed ero rimasta in contemplazione di alcune fotografie per un tempo lungo e lento, sedendomi in silenzio di fronte a quei volti. Era affascinante la sua capacità di catturare, non semplici emozioni, ma condizioni dell’esistenza che un singolo portava sul volto. C’erano dei bambini tra i suoi ritratti, anche quelli che vivevano la guerra. Ecco, quando ho visto Yeva, la mia mente è tornata indietro a quei momenti di contemplazione. Come uno schiaffo in pieno viso.
Yeva voleva muoversi continuamente probabilmente anche perché non comprendere ancora la lingua italiana la sfiancava, la isolava, chi lo può sapere davvero quale possa essere il senso di desolazione che provava e che forse prova ancora. Sono stata felice di aver portato tutte le traduzioni delle attività, che la mia amica Caterina mi aveva scritto in un ritaglio di tempo. Infatti mi ricordavo bene quando Petja - giovane brillante di Odessa - allora il suo fidanzato, fremeva dalla voglia di conoscerci e parlare di filosofia, ma era frenato dal mio scarso inglese e dalla sua non conoscenza della nostra lingua. Dopo qualche mese, tornato in Italia con Caterina, era migliorato tantissimo! All’epoca non avremmo mai immaginato di poterli aiutare, una volta scoppiato il conflitto nel paese che era diventato la casa della loro famiglia. Cate e Petja sono nostri amici, un pezzo della nostra storia e del nostro cuore, nostri fratelli in questi tempi difficili. Negli occhi di Yeva, forse, rivedevo tutto questo.
C’è un frammento di tempo che non mi tolgo dalla mente, ve lo racconto. Durante il secondo incontro è accaduto questo. A metà delle attività, Yeva mi si è avvicinata facendomi capire che aveva mal di pancia, mi sono accovacciata per poterla guardare bene negli occhi. Sapevo che forse avrebbe capito la metà di quello che le avrei detto. Allora l’ho tenuta vicina a me e le ho stretto le mie mani sulla pancia. Spesso nelle mie formazioni racconto che le emozioni si sentono in punti precisi del corpo, ma anche i nostri vissuti e i ricordi, tutto quanto.
Probabilmente per il semplice, ma non banale, fatto che noi godiamo della nostra vita grazie al nostro corpo. Yeva ha ascoltato gli altri bimbi raccontare la loro storia inventata con le mie mani sulla pancia e ho sentito che pian piano il suo corpo esile si calmava. Alla fine del laboratorio tutti i bambini si raccolgono con fibrillazione intorno a Yeva, mentre scrive nella sua lingua un biglietto di ringraziamento. Questa curiosità li unisce più di ogni gioco. Il biglietto scritto in ucraino lo regala a me, c’è scritto: “ti ringrazio perchè mi fai imparare benissimo l’italiano.”
Ringrazio Caterina e Petja per avermi reso vicino un conflitto che, alle volte allontaniamo - forse per difesa dalla paura - fino a diventarne indifferenti. Ringrazio Yeva per avermi ricordato che qualsiasi gesto possiamo fare per alleviare il dolore di qualcuno, è fondamentale. Per il bene di un singolo o di molti, per far riflettere una persona sola o dei gruppi. Quante cose ci riguardano e pensiamo che non ci debbano interessare? Quante cose ci stanno già influenzando e travolgendo e non ce ne curiamo? Cominciamo ad occuparcene, prima di preoccuparcene. Basta un piccolo gesto, un primo passo, una mano che si tende, un’orecchio che ascolta, due occhi che guardano. Cosí saremo presenti, ora con tutti noi stessi, consapevoli grazie ad una mente curiosa e lucida e disponibili con un cuore accogliente. È nostra responsabilità.
*il nome è inventato per privacy
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