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Immagine del redattoreMarinella Vicini

Non resta nient'altro che fare una scelta.


Nei giorni di di vacanza succede una magia: si crea il tempo, aumenta! Cresce finalmente lo spazio per fare quello che, durante l’anno, tra il lavoro e il menage familiare, non riesco a fare. Come sapete, o avrete letto dall’home page del mio sito, ho sposato un videomaker che, per passione e deformazione professionale, deve costantemente aggiornare o recuperare il suo database di film e musica. L’altro giorno, mentre allungavamo il giro in macchina per far continuare il sonnellino del bimbo, abbiamo ascoltato di nuovo l’ultimo disco di Caparezza. Questo disco, in particolare, è fatto per essere ascoltato tutto di seguito, le canzoni sono legate da un unico filo e raccontano di lui, delle sue domande, di quello che gli è successo e di conseguenza, poi, di nuovo, delle domande che gli sono rimaste. Che poi, vogliamo che non siano pure le nostre? Quando un artista tocca certe corde esistenziali ci prende all’amo e diventiamo compagni di salite, dubbi e conquiste. “La scelta” è una di queste canzoni che mi ha subito catturata e mi ha definitivamente conquistata dopo quattro ascolti. Li ho dovuti fare perché volevo che mi rimanessero stampate nella memoria alcune rime, perché raccontavano anche di me o mi ricordavano alcune persone. Il testo mette a confronto due artisti: Marco (Mark Hollins) e Ludovico (Ludwig van Beethoven) che hanno fatto due scelte di vita opposte, il primo la famiglia rinunciando alla carriera, il secondo viceversa.

I miei pazienti e le coppie che seguo affrontano grandi momenti bui, che però, una volta vissuti fino in fondo e attraversati, si trasformano in un varco innovativo, in un ponte impensato spalancato su nuovi orizzonti. La stessa dimensione fisica ed esistenziale di “Ludovico”, sordo e devoto al suo pianoforte, lo porta ad essere immerso nell’abisso nero della sua storia ma “su questo plana” per poi scrivere l’Inno alla gioia. Marco colleziona dischi d’oro che non valgono nulla a confronto del tempo che scorre inesorabile lontano da un figlio che non vede crescere. Lascia la musica all’apice della carriera e sceglie l’amore, più prezioso di incassi che finiranno in cassa da morto. Qual è la scelta giusta? Quale è patetica, quale è eroica? Caparezza non scrive nessun aut aut, il ritornello ripete che la vita è patetica, eroica, senza congiunzioni: senza “o”, senza “e”. “Patetica, eroica. Questa è la mia vita, non dimenticarlo”. Alle volte è entrambe le cose. Alle volte tocca il fondo dello squallido che mai avremmo voluto vedere o i picchi del massimo che potevamo fare. Non è questo il punto, forse, quello che serve è fare una scelta. Da soli, o insieme. Come nelle storie delle persone che ho incontrato e che sono tornate alla mente con questo sound. Francesca*, dopo una grossa crisi con il marito, intraprendendo un profondo lavoro psicologico, riconosce il ruolo del suo senso di orgoglio ammettendo poi i propri sbagli e chiedendo perdono, desiderando un ritorno insieme. Alessandro e Luisa, dopo un doloroso conflitto e un intenso percorso di mediazione, scelgono di separarsi ritrovando un nuovo rapporto con i figli. Qual è la scelta giusta per una coppia in crisi? Penso, poi, alle indecisioni che bloccano chi non sa se è il momento giusto per andare a vivere fuori casa, alla paura della solitudine che lascia incatenati a relazioni morbose o non costruttive, penso alla forza dell’ansia che può bloccare la spinta e la fiducia verso un cambiamento che si desidera. Qual è il passo migliore dentro l’abisso di una crisi personale? Forse il mondo non si divide tra patetici ed eroi, ma è la vita a vestire entrambi i ruoli a fasi alterne. Quando la subiamo ci travolge. Allora - come suggerisce Caparezza - “non resta nient’altro che fare una scelta”. Vale la pena per affacciarsi ad una nuova fase, per lasciare la nostra “exuvia” (titolo dell’album) senza distruggerla ma riconoscendola come parte essenziale. Il cantante in un’intervista racconta che la cicala quando fa la muta abbandona il suo esoscheletro lasciandolo intatto: l’exuvia abbandonata non deperisce come la muta di un serpente, ma resta identica tanto da sembrare ancora una cicala. Quando facciamo delle scelte, quando cambiamo alle volte siamo impietosi con il nostro sé precedente o bussano sensi di colpa e la paura. Vorremmo stracciare via la nostra exuvia. Ma quanto è liberante riuscire a scivolare fuori, dopo una fatica e un dolore, senza guardarla con disprezzo ma con rispetto? Trovandola intatta ed elegante. Quando è troppo difficile poterlo fare da soli, qualcuno ci può aiutare ad illuminare i porti franchi del nostro meraviglioso abisso esistenziale.

In fondo anche questa é una scelta importante.

Buon ascolto!

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